SanGerolamo

San Girolamo è raffigurato nell’iconografia dell’eremita penitente nel deserto. Vestito di pochi stracci è inginocchiato con nella mano destra la pietra che usava per percuotersi il petto e con la sinistra che indica se stesso in atto di umiltà. Il volto è rivolto verso l’alto, tradizionalmente, verso un probabile crocifisso non ancora dipinto, di cui si intravede però l’asta sull’estrema destra, dove si trova il paesaggio appena abbozzato nel quale alcuni studiosi hanno voluto vedere lo schizzo della facciata di Santa Maria Novella. La figura dell’eremita è studiata con notevole attenzione all’anatomia, testimoniando il precoce interesse di Leonardo su questo settore, con muscoli asciutti ma scattanti, tendini a vista. Spiccano soprattutto il busto inarcato e scuro dietro le clavicole, il gesto plastico del braccio disteso, che sembra indagare lo spazio circostante, o la gamba protesa in avanti, con un efficacissimo scorcio. La testa, scavata e ossuta, nonché scorciata nella sua torsione verso destra, è resa con espressività e ricorda alcuni busti antichi cosiddetti di “Seneca”. La sua figura emerge con potenza anche per effetto dello sfondo scuro, composto da rocce dalle forme bizzarre che si ritroveranno anche, di lì a poco, nella prima versione della Vergine delle Rocce (1483-1486).

In basso si trova il fedele leone, appena disegnato, il cui corpo scattante crea giochi lineari rari in Leonardo, che probabilmente sarebbero poi stati attenuati dalla pittura atmosferica e dallo sfumato. L’animale è sulla diagonale che, attraverso il corpo del santo, finisce nel paesaggio dello sfondo a sinistra, già avviato, con le tipiche rocce appuntite leonardesche. Un altro paesaggio, appena abbozzato, si trova sulla destra, sotto un arco naturale, in cui si distingue una sorta di disegno di chiesa.

Nel 1482 Leonardo da Vici lasciò incompiuta una delle sue opere: il San Gerolamo, oggi custodito all’interno dei Musei Vaticani. Insieme all’Adorazione dei Magi, San Gerolamo è una delle opere che da sempre attira gli studiosi della tecnica del artista vinciano. In questo dipinto, ad olio su tavola, si nota, infatti, l’accuratissimo studio dei muscoli e dei tendini protesi nello slancio della preghiera e della penitenza che caratterizzano la pittura dell’artista.

Descrizione: opera Incompiuta di Leonado da Vinci San Gerolamo Musei Vaticani

San Gerolamo è l’eremita penitente del deserto che, inginocchiato e vestito di pochi stracci, tiene nella mano destra la pietra che usa per percuotersi il petto e con la mano sinistra indica se stesso. Il volto guarda in alto verso un crocifisso non ancora dipinto, di cui si intravede però l’asta sulla destra.

Per Leonardo l’espressione dei sentimenti era strettamente legata alla conoscenza dell’anatomia infatti l’ossatura del cranio mostra tutta l’intensità del momento e i sentimenti provati dal penitente San Gerolamo.

La storia narra che Gerolamo, verso la fine del 386, si trasferì a Betlemme per meditare, studiare e ritrovare sé stesso. A poco a poco attorno alla sua figura carismatica si formò una comunità e un monastero da lui diretti dove, presumibilmente, si conduceva uno stile di vita assolutamente essenziale. Così visse i 35 anni più laboriosi e fecondi della sua vita, consacrati completamente al servizio della fede e della scienza. In quel periodo scrisse i suoi lavori biblici, le traduzioni dall’ebraico e i commentarî di molte parti dell’Antico e del Nuovo Testamento. Nel dipinto di Leonardo vi sono, alla destra di San Gerolamo, delle rocce, mentre a sinistra il paesaggio è caratterizzato da una manciata di cime aguzze che appena si intravedono sul fondo di preparazione della tavola. Il “San Gerolamo”, assieme a “L’Adorazione dei Magi” (oggi a Firenze, Galleria degli Uffizi) sono opere di primaria importanza per lo studio della tecnica pittorica di Leonardo. Essendo incompiute, sono rivelatrici dei passaggi intermedi usati dall’artista per creare i suoi dipinti su tavola.All’estremità in basso a destra del “San Gerolamo” è accovacciato un leone appena abbozzato, ricordo di una leggenda che narrava come la fiera, liberata d’una spina dal santo, gli fosse divenuta amica. In realtà l’episodio si riferiva a San Gerasimo eremita in Palestina. In definitiva da parte degli artisti del rinascimento ci fu senz’altro la preferenza per la rappresentazione del santo quale asceta e penitente. Le più famose sono quelle di Leonardo alla Pinacoteca Vaticana, Piero della Francesca all’Accademia di Venezia, Cosmè Tura alla Galleria Nazionale di Londra, Lorenzo Lotto al Louvre e al Prado, Tiziano a Brera ecc.


Il paesaggio di Leonardo da Vinci fra scienza e simbolismo religioso

Il paesaggio non fu invenzione di Leonardo da Vinci; ma certamente nessun altro pittore prima di lui o dopo di lui ebbe la capacità di trasfigurare le mistiche atmosfere della natura nella realtà pittorica in un modo paragonabile. Nella storia dell’arte italiana ed anche in quella fiamminga veniva già affrontato verso la fine del Medioevo la tematica paesaggistica nelle sue più svariate rappresentazioni

Intorno alla seconda metà del quattrocento, nel paesaggio può anche rispecchiarsi indipendentemente dal contenuto figurativo lo studio della natura o soprattutto lo studio del singolo artista. Particolarmente in Leonardo nacque il paesaggio come “medium” di una lunga e studiata riflessione artistica e scientifica, cioè esso diventa fonte contenente idee del teorico e del ricercatore. Un ulteriore “novum” si preparava nell’uso dello “sfumato”, il quale rese possibile l’impiego di più olio su tela e lo sviluppo dello spazio pittorico, consistente in delicati passaggi suggestivi dando all’immagine un aspetto mistico. In questo contributo vorrei rivolgermi ad ogni modo a due problematiche principali: l’una in senso religioso del paesaggio mentre dall’altra la realizzazione degli studi scientifici mutati in immagini. Recentemente l’ultimo punto su citato è diventato un paradigma in quanto i retroscena paesaggistici di Leonardo sarebbero frutto di idee e ricerche affrontate sul piano geologico, idrologico e meteorologico. Vorrei oltretutto sottolineare che in alcuni casi anche il simbolismo religioso può avere una sua importanza.

La formazione pittorica nella seconda metà del quattrocento si basava sempre più nell’emulazione della natura e presso a poco in ogni dipinto erano richiesti retroscena paesaggistici.

Il “San Gerolamo”, iniziato probabilmente nel 1481 e gravemente danneggiato in epoche successive, rimase incompiuto, ma fornisce un’idea di massima della concezione originaria di Leonardo. Il santo è raffigurato come penitente nel deserto, qui accennato per mezzo di un paesaggio brullo, disseminato di piccoli ammassi rocciosi, cui simbolismo è mai stato preso in considerazione. Gerolamo, il volto sofferente, è in ginocchio quasi al centro esatto dello spazio del quadro; la mano sinistra avvicinata al corpo sfiora l’orlo della veste aperta, infatti i suoi orizzonti non hanno limiti, il tutto viene avvolto da una leggera foschia che lascia intendere l’infinità spazio tempo. Particolarmente qui si rivela la relazione tra gli elementi acqua, aria e luce i quali si condensano e si mischiano essendo elementi indeterminabili della natura ed avvolgono le erte e scoscese propagini alpine, i dolci colli e l’improvviso alzarsi di vette taglienti. Di analoghi fenomeni Leonardo se ne occupò più tardi nei suoi scritti teorici per esempio quand’egli si riferisce in particolar modo agli elementi della natura che si congiungono dai monti fino all’orizzonte:
“E questi tali orizzonti fanno molto bel vedere in pittura. Vero è che si de’ fare alcune montagne laterali con gradi di colori diminuiti, come richiede l’ordine della diminuzione de’ colori nelle lunghe distanze.”

Il “San Gerolamo”, iniziato probabilmente nel 1481 e gravemente danneggiato in epoche successive, rimase incompiuto, ma fornisce un’idea di massima della concezione originaria di Leonardo.

Il santo è raffigurato come penitente nel deserto, qui accennato per mezzo di un paesaggio brullo, disseminato di piccoli ammassi rocciosi, cui simbolismo è mai stato preso in considerazione. Gerolamo, il volto sofferente, è in ginocchio quasi al centro esatto dello spazio del quadro; la mano sinistra avvicinata al corpo sfiora l’orlo della veste aperta, mentre la destra afferra un sasso e, con un ampio gesto, si prepara al lancio. Sul petto magro e ossuto, all’altezza del cuore, s’intravede una macchia più scura, probabilmente una ferita sanguinante che il santo si è inferto nei suoi esercizi di mortificazione. Proprio davanti a Gerolamo, come animale da compagnia e suo attributo, è disteso il leone al quale il santo aveva tolto una spina dalla zampa. La belva, che giace sul margine inferiore del quadro, osserva la scena e sembra sottolineare con le fauci spalancate la foga delle penitenze di Gerolamo. Il santo, a sua volta, guarda verso un piccolo crocifisso, che si scorge appena, parallelo al margine destro del quadro: in questo modo, Gerolamo stabilisce la corrispondenza tra la propria sofferenza di penitente e la Passione di Cristo. Sull’asse dello sguardo del Santo, a destra sullo sfondo, si riconosce la facciata rinascimentale di una chiesa – una possibile allusione alla Chiesa della Natività a Betlemme, menzionata nella “Legenda aurea”, città in cui più tardi Gerolamo opererà e troverà sepoltura.

Con la sua ascetica figura di penitente, Leonardo si riallaccia ad una tradizione iconografica iniziata nel XV secolo, ma se ne discosta nettamente per un particolare: il suo Gerolamo non ha la barba. Inoltre, a paragone di altre varianti dello stesso tema, l’artista si concentra maggiormente sull’aridità del paesaggio rupestre circostante. Tutta la drammaticità della condizione di penitente e la sua integrazione nel paesaggio privo di vegetazione si richiamano forse, direttamente o indirettamente, a una lettera del 384 di Gerolamo a Eustochio, di cui si citano alcuni estratti nel capitolo corrispondente della “Legenda aurea” e di cui si parla anche in altri testi relativi alla figura di Gerola mo. In questa commovente lettera il santo descrive non solo i motivi per cui è auspicabile rinunciare ai desideri della carne, ma anche le tentazioni reali alle quali egli stesso, Gerolamo, è continuamente esposto nella sua qualità di uomo di Dio.

In questo contesto, l’esortazione alla virtù e l’ammonimento all’ascesi non rimangono cosa astratta, poiché Gerolamo nella sua esposizione si sofferma anche su quella debolezza umana, quell’inclinazione alla voluttà che anche l’osservatore può aver sperimentato sul proprio corpo.

Questi i passi corrispondenti della lettera:
“Questo ‘io’ dunque, che per timore dell’inferno ho condannato a un tale carcere, avendo per compagnia solo gli scorpioni e le bestie selvatiche , spesso ha ripensato alle danze delle fanciulle.
Le guance erano pallide per il digiuno, ma nel mio freddo corpo bruciava lo spirito del desiderio.
Dell’uomo, già morto secondo la carne, ardeva ancora solo il fuoco dei sensi. Abbandonato da ogni aiuto, mi gettai ai piedi di Gesù, li bagnai di lacrime e li asciugai con i miei capelli, e domai la carne riottosa con settimane di digiuno. Non mi vergogno di confessare il mio triste e miserevole stato […]. Ricordo ancora molto bene quante volte ho trascorso giorni e notti gridando senza sosta, e non smettevo fino a quando il Signore non mi rimproverava, e mi tornava la calma interiore”.

Benché il dipinto non possa rendere tutta la drammaticità della descrizione, pure nella raffigurazione del penitente si esprime chiaramente uno stato emotivo nel quale può rispecchiarsi l’osservatore tormentato da un’analoga scissione. Nel proseguimento della sua descrizione, Gerolamo si sofferma con maggior precisione anche sul luogo della penitenza, di cui vorrebbe acuire il cui carattere solitario addentrandosi sempre più in luoghi selvaggi:

“Adirato con me stesso, ma deciso, mi spinsi oltre da solo nel deserto. Dove scorgevo una gola, un’aspra montagna, una rupe frastagliata, là mi fermavo a pregare, di quel luogo facevo il carcere per la mia carne peccatrice”.

In un altro passo, infine, Gerolamo nomina anche un significato concreto delle rocce che lo circondano, che non sono soltanto elementi caratteristici del deserto ma hanno anche un senso simbolico:

“È impossibile in sé che questo ardore innato nell’uomo, proveniente dal suo intimo, non tocchi i suoi sensi. Per questo è degno di ammirazione e lode colui che uccide i pensieri empi sul nascere, e li infrange contro la roccia. La roccia, però, è Cristo”.

Con l’esatta resa artistica del gesto di espiazione, il dipinto chiama in causa colui che lo osserva e che, nella preghiera, ha saputo assimilarsi all’atteggiamento ascetico e penitente del santo. Il paesaggio rupestre, solo accennato nel quadro incompiuto, diventa qui metafora della continua battaglia del credente contro le tentazioni della carne, contro i pensieri “empi”, come si esprime Gerolamo. Infine, all’aspetto spoglio delle rocce inteso in senso non solo metaforico corrisponde il corpo da asceta, scarnificato del santo.


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