I disturbi dell’alimentazione non sono mai stati semplici da definire né da curare. L’incremento vertiginoso di queste patologie negli ultimi anni ha reso sempre più evidente la complessità dei loro sintomi e la molteplicità di significato. Le persone che soffrono di tali disturbi sentono di non avere alcuna possibilità efficace di comunicazione con il mondo esterno. Possono solo esprimere e comunicare la loro disperazione interna attraverso il corpo con modalità primitive di incorporazione ed espulsione del cibo. Sono “persi per le parole”, incapaci di utilizzarle e di ascoltarle. Si ritrovano a vivere in un mondo dove né il cibo né le parole sembrano offrire nutrimento o sostegno. La modalità concreta e non-verbale con cui questi pazienti agiscono, li costringe in una coazione a ripetere difficile da interrompere. Trasformare l’agire in pensare, l’espellere in conservare permette di accedere ad una dimensione interna più stabile. Questo è secondo noi la finalità dell’intervento psicoanalitico. Lo sviluppo di una trasformazione dal cibo al pensiero e alla parola, va di pari passo con la possibilità di costruire un legame con il terapeuta.
Il problema sia per le anoressiche che per le bulimiche è sempre come sviluppare un legame utile e duraturo, un legame interno con un oggetto cui in qualche modo può essere permesso di essere buono, e non persecutorio. Riuscire a considerare le parole anziché il cibo strumenti utili per comunicare invece di sentirsi persi, frustrati o attaccati, significa aiutare lo sviluppo di una capacità di comunicazione che riconosce la presenza dell’altro e la possibilità di sviluppare introiezioni e proiezioni soddisfacenti.